Piazza Indipendenza 1, Palermo, Sicilia, Italia
Dal 7 dicembre 2019 al 6 aprile 2020 la Fondazione Federico II presenta O’TAMA. Migrazioni di Stili, l’inedita mostra sull’artista giapponese che visse nel capoluogo siciliano dal 1882 al 1933 ospitata nei suggestivi spazi del Palazzo Normanno di Palermo. O’Tama Kiyohara fu la prima artista orientale a giungere in Europa e per 51 anni visse a Palermo riuscendo ad abbattere le resistenze del sistema legato alla statica classicità. La sua migrazione da Tokyo costituì un’opportunità di innovazione in quanto l’arte orientale, fino ad allora considerata una minaccia per l’arte ufficiale, contaminò e arricchì l’espressione artistica italiana. L’esposizione, in programma nel rinnovato corridoio Dogali e negli Appartamenti Reali, è organizzata dalla Fondazione Federico II con il patrocinio dell’Ambasciata del Giappone in Italia e la collaborazione del Centro Regionale per il Restauro, del Museo delle Civiltà – Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” e del Liceo Artistico “Vincenzo Ragusa e O’Tama Kiyohara”. Con questa mostra ancora una volta la Fondazione Federico II affronta il tema della migrazione e ne coglie gli aspetti positivi. Dal Pacifico al Mediterraneo l’artista affrontò un viaggio che divenne una scelta di vita, un cambiamento imposto da due mondi fortemente difformi. Dopo approfondite ricerche e confronti con i maggiori studiosi della materia, la Fondazione ha ricostruito idealmente un complesso percorso iniziato nel 1882 quando l’artista giunse a Palermo da Tokio per seguire lo scultore palermitano Vincenzo Ragusa. Nella Palermo di fine Ottocento O’Tama Kiyohara è stata pioniera di un percorso artistico, culturale e didattico votato al progresso e all’innovazione. Pittrice raffinatissima, O’Tama Kiyohara realizzò in effetti una sintesi artistica tra tecnica, eleganza stilistica e realismo, emblema del grande sogno condiviso con Vincenzo Ragusa di un percorso culturale in grado di dare vita ad una scuola-museo. Questo grande progetto, purtroppo, dovette infrangersi su uno stato di abbandono economico legato alla politica che non trovò soluzioni neppure tramite l’allora ministro di Grazia, Giustizia e dei Culti, Finocchiaro Aprile, ritrovando nella sua volontà di creare cultura sperimentale una forma di crescita in merito a specializzazioni e divulgazioni di arte locale e internazionale.
Giunta a Palermo, O’Tama si è trovata a confrontarsi con tutta la storia dell’arte italiana. La sua è una pittura fuori dal tempo, eclettica e variabile. Scelse di utilizzare tecniche che non esistevano in Giappone. Esempio ne è il dipinto della Notte dell’Ascensione che lei rappresenta in un notturno. Tutti i pittori del periodo avevano dipinto Monte Pellegrino ma mai di notte. Inventa una visione dall’alto della passeggiata della Marina, un cielo nuvoloso, i lampioni che fino a quel momento nessuno aveva ritratto. Una novità assoluta i lampioni elettrici per Palermo e per tante altre città (solo i futuristi lo faranno qualche tempo più in là). L’esposizione – che conta nel complesso 101 opere – ha il merito di aver riunito finalmente i frammenti di quel lungimirante progetto grazie al faticoso restauro di 46 acquerelli ikebana e botanici, 6 cartoni (kinkawa-gami) e 18 tessuti sostenuto dalla Fondazione col Centro Regionale per il Restauro e il Corso di laurea in Restauro dei Beni Culturali dell’Università di Palermo. In mostra anche 9 ceramiche, 14 bronzi, 2 ventagli e soprattutto il prezioso kimono dipinto a mano e ricamato con seta policroma e filo d’oro collocato all’interno di una teca dedicata in Sala dei Vicerè. Non un’opera di O’Tama: fu suo marito, Vincenzo Ragusa, ad acquistarlo in Giappone per la sua collezione. Oggi torna a Palermo dopo oltre un secolo grazie al prestito concesso alla Fondazione Federico II dal “Museo delle Civiltà – Museo preistorico etnografico Luigi Pigorini”. Questo kosode è tipico dello “stile della corte imperiale” (goshodoki) ed era utilizzato per i kimono indossati dalle donne di alto rango della classe samurai. Non a caso Vincenzo Ragusa annota nel suo inventario: “Veste per gran dama, sposa di qualche generale”.