Sono tornati i giorni in cui la città si risveglia dopo l’afa estiva.
Si incontrano di nuovo le persone che non abitano nel centro storico e che vedi poche volte l’anno e con le quali ti fermi volentieri a parlare. Nei vicoli si cominciano a sentire profumi di sughi, quelli con i quali si preparano i supplì, le pappardelle al cinghiale e i crostini di fegato di pollo. In lontananza si sentono i tamburi e in piazza la gente parla di spareggi fra aspiranti arcieri.
Sì, è tornata l’Ottava di Sant’Egidio e gli ortani si stanno preparando.
Una strana città Orte, sospesa tra la Tuscia e l’Umbria, né ternana, né viterbese, con una propria identità, una città al centro, e non solo geografico, il più delle volte ignara del suo fare da ponte tra il mondo antico e l’attualità; fiera delle sue origini etrusche e comunque aperta al nuovo che si fa avanti, che è convinta di stare ferma, ma che invece si è trasformata decennio dopo decennio, adattandosi e sopravvivendo ai cambiamenti inevitabili imposti dalla storia.

