Rome, Lazio, Italy
Dove risiede la verità? Nella dottrina orientale del Tao, promotrice del vuoto come forza generatrice del pieno, oppure nella filosofia aristotelica di cui siamo figli, nonché debitori della paura con cui guardiamo al vuoto, che sfocia in secoli di arte caratterizzata dal cosiddetto Horror Vacui?
Il vuoto diventa il tema cardine della mostra collettiva di Medina Roma Art Gallery. Al fine di proseguire l’indagine artistica contemporanea con uno dei temi forse più temuti e al tempo stesso affascinanti, attraverso opere di pittura, scultura, fotografia, digital e installazioni.
Concetto talmente infido da essere sottovalutato, il vuoto può apparire come un’entità priva di ogni significato, forma, profondità, utilità. Oppure questo è quanto diciamo a noi stessi per esorcizzarne il timore suscitato da sempre nella cultura occidentale, assoggettata al pensiero greco di Aristotele secondo il quale la natura rifugge il vuoto e perciò tende a riempirlo costantemente.
In realtà le affermazioni aristoteliche si scontrarono con la scuola pitagorica antica e la filosofia atomista, secondo le quali il vuoto esiste in quanto necessità, più precisamente come principio ontologico per l’esistenza degli enti. Eppure il pensiero di Aristotele ha prevalso imprimendosi a fondo in quello artistico, così da far introdurre a Mario Praz la definizione di Horror Vacui in relazione all’arredamento di epoca vittoriana, estesa successivamente a manifestazioni artistiche precedenti, fino ad evocare “una cultura di Horror Vacui che ci accompagna da secoli”. Si può dunque affermare che l’occidente guarda all’arte come un modo per sopperire il vuoto al pari della Natura. Dalla rottura intenzionale dell’armonia tra vuoti e pieni del Partenone è nata l’arte anticlassica, come si rileva nel decorativismo fittissimo di alcuni sarcofagi romani, longobardi, nei codici miniati e parallelamente nell’arte islamica, influenzata dalla tradizione bizantina. Anche l’arte gotica con le sue cattedrali dai portali traboccanti di sculture e virtuosismi incisi nella pietra, ha contribuito a riempire il vuoto allo stremo. Poi un ritorno alla classicità, una battuta d’arresto durante il Rinascimento a cui ha fatto seguito l’eccesso senza freni del Barocco mai più eguagliato nei secoli successivi, ma sfiorato dall’astrattismo schizzato di Jackson Pollock, il collezionismo spasmodico di Arman, il simbolismo saturo e ripetuto di Jean Dubuffet e Keith Haring, per citare alcuni esempi.
Profondamente differente il pensiero taoista orientale, dove l’attività artistica non esprime il concetto di vuoto ma ne fa esperienza, fondendo il processo creativo dell’opera con la meditazione. Il non-essere alla base della filosofia mistica taoista difatti è un vuoto determinato, ovvero esattamente l’opposto del nihil come nulla assoluto del pensiero occidentale.
Se nel taoismo il vuoto non esiste allo stato puro, ma esiste solamente in relazione al pieno, esso è necessario per la costituzione di ogni cosa e rappresenta la vera utilità di ogni oggetto.
In relazione a tale concezione di compenetrazione di vuoto e pieno, nell’estetica figurativa orientale ricorre una costruzione aprospettica nella quale si dispongono i segni o le figure. L’artista può raggiungere la padronanza del vuoto attraverso un’intensa pratica meditativa che gli permetta di concentrarsi unicamente sull’azione svolta, dimenticando sé stesso ed ogni emozione.
Un esempio di come la filosofia orientale affacciandosi nel panorama occidentale ne abbia influenzato a tratti gli esiti è l’indagine sulla spazialità di Lucio Fontana, in cui il taglio, producendo un vuoto nel quadro, diviene elemento di costruzione e non di disfacimento dell’opera. Dai buchi e dai tagli praticati nella tela Fontana ha svelato che l’arte è fatta di materia e di spazio e che lo spazio è l’opera, che essa si fa con lo spazio e che la materia è infinita.
Questi i pilastri attorno ai quali il dibattito sul vuoto si è condensato, da una parte l’estetica del vuoto orientale e dall’altra l’horror vacui occidentale. Da un lato l’artista vuoto, che raggiunge l’apice dell’espressione artistica solo quando dimentica sé stesso e dall’altra l’artista-genio che celebra sé stesso nella sua arte.
Se l’Arte è lo specchio della società e dell’epoca in cui è stata prodotta, mai come oggi il vuoto è un concetto avvertito profondamente nell’era digitale, ad esempio, dove la connessione con una moltitudine di persone in tutto il mondo non sopperisce alla solitudine fisica che la tecnologia fa dimenticare di colmare. Temuto è il sopraggiungere del vuoto perché ci ritroviamo a fronteggiare noi stessi, i nostri pensieri più profondi, i desideri inespressi, le paure che ci perseguitano.
Il vuoto ed il senso che gli viene assegnato, ad oggi resta un concetto la cui definizione, negativa o positiva che sia, è strettamente legata alla soggettività di ogni individuo; INTO THE VOID è dunque un’progetto che vuole mettere a nudo la percezione del vuoto che hanno gli artisti, smentendo, confermando o rovesciando le speculazioni artistiche succedutesi fino ad ora, combinando tecniche e personalità fra loro differenti, onde accrescere la conoscenza del panorama artistico contemporaneo.